MARIJA GIMBUTAS E LA GRANDE DEA

MARIJA GIMBUTAS E LA CULTURA PREISTORICA DEL FEMMININO SACRO

Articolo di Cristina Lègovich

 

1 vulva Lepenski Vir, Danubio 6000 a.C.
Vulva Lepenski Vir, Danubio 6000 a.C.

 

In foto vediamo una scultura ovoidale in pietra con incisa una vulva umana a forma di bocciolo, alta 20 cm., trovata dall’archeologa Marija Gimbutas alla testa di un altare a Lepenski Vir, nell’ex Iugoslavia settentrionale. Risale al 6000 a.C., epoca neolitica. Fa parte delle migliaia di reperti scavati per quasi quarant’anni da questa archeologa e mitografa che rivoluzionò il modo di intendere e vedere la Preistoria cui l’accademismo patriarcale ci ha abituate. Marija Gimbutas (1921 – 1994) ha un curriculum di tutto rispetto. Fuggita negli Usa dalla Lituania durante l’invasione russa, nel 1949 iniziò a collaborare come esperta di Preistoria con l’Università di Harvard, per diventare docente di archeologia dell’Europa orientale all’Università di Los Angeles nel 1963. Fu ostracizzata dall’ambiente accademico americano alla fine degli anni Ottanta, quando pubblicò “Il Linguaggio della Dea” (1989) con le sue illuminanti conclusioni. Perché tanta ostilità nei confronti di questa studiosa? Perché le sue scoperte gettavano alle ortiche secoli di visione maschiocentrica della Preistoria ovvero gli albori della nostra umanità, vista come un’epoca violenta e patriarcale, guerresca, oscura.

Il Linguaggio della Dea riporta alla luce una possibile verità archeologica del tutto opposta e delinea la Preistoria come una lunghissima parentesi evolutiva di pace e di equilibrio tra i sessi durata quasi centomila anni. Attraverso l’accurata analisi di migliaia di reperti che vanno dal Paleolitico superiore al Neolitico recente, la Gimbutas ha scoperto che la nostra prima cultura umana era matrilocale e matriarcale nel senso etimologico del termine (metèr arché, inizio da una madre) e fondata sul culto di un’unica Dea, la Natura, nella sua triplice funzione di Vita, Rigenerazione e Morte. Suoi simboli sacri principali erano il serpente che si morde la coda a rivelarne la natura immortale e la V (simbolo della vulva) e i multipli di III a ribadirne l’appartenenza femminile e la trinità.

La Gimbutas ha osservato che sulle statuette neolitiche come nelle pitture e incisioni rupestri questi dati sono visibili e ripetuti e rappresentano un vero e proprio “alfabeto della Dea” che accomuna l’Europa orientale e occidentale in una cultura universale riconosciuta ai tempi da tutta la prima umanità che vi abitava. Se vi era un’unica Dea, la Natura triplice nelle sue funzioni vitale, rigeneratrice e mortifera, la donna ne era l’incarnazione vivente, col conseguente ruolo da protagonista nelle società preistoriche, e non solo da sbiadita comparsa come vuole la tradizione accademica patriarcale. Le molte Veneri preistoriche ne sono la dimostrazione, quanto tutta la produzione neolitica documentata dalla Gimbutas. Un mondo dove i simboli femminili sono predominanti, dove c’è un’unica divinità femminile, la Natura. Da qui la visione olistica della santità del tutto vi sia in Natura. La Terra era vista dai suoi abitanti umani come un immenso corpo femminile, i cui monti e colline fossero i seni, le sue acque e ruscelli il suo sangue, le caverne la sua vulva. Tutti gli animali femmina erano sue figlie predilette, come la femmina della nostra specie. Rondini, usignoli, orse, bisontesse erano totem della funzione vitale della Natura, rappresentata dalla primavera e dall’estate; anfibi e uccelli di palude erano collegati alla funzione rigenerativa, simboleggiata dall’autunno; serpenti e rapaci ricordavano invece la funzione di Morte, visibile in inverno quando la fine apparente di tutto prepara un nuovo ciclo di vita.

Tutto questo, ci dimostra con le immagini la Gimbutas, fu documentato e rappresentato per decine di secoli attraverso dipinti, incisioni e statuette a foggia dei più svariati animali. Un mondo pacifico, in comunione sacra con la Natura incontaminata, dominato dai misteri del femminino è dunque quello che emerge dai suoi studi e che rappresenta il più alto culmine spirituale della nostra specie, corrotta durante la successiva età dei metalli dalle nuove società di potere piramidale e dalle ondate di violenza patriarcale e guerresca che chiamiamo Storia.

Un pensiero riguardo “MARIJA GIMBUTAS E LA GRANDE DEA

  1. Vincenzo Postiglione novembre 28, 2018 — 12:08 am

    Molto interessante.

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